33° episodio - rizzuti.it

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DOMINUS VOBISCUM



Monsignor Gennarino era solito svegliarsi prima dell'alba.
 
Alle sette doveva celebrare messa alla Cattedrale e voleva arrivare preparato spiritualmente a questo impegno, per evitare di compiere un'azione abitudinaria, eseguita meccanicamente.
 
Si recava in chiesa con buon anticipo, e dopo aver ringraziato il Signore si concentrava per ripassare mentalmente il sermone, che abitualmente preparava a casa il giorno prima, prendendo spunto dal Vangelo per confrontarlo con avvenimenti e situazioni del presente.
Non teneva nulla di scritto per non essere didascalico, si affidava semplicemente a due o tre parole su un foglietto, per ricordarsi i concetti che voleva sviluppare.
La sua non era una predica e nemmeno una recita, ma una intensa lezione di saggezza e di amore.
Non amava comunicare dal pulpito, al contrario preferiva stare sullo stesso piano dei fedeli per non apparire un maestro autoritario.
Appena arrivato al leggio, o "ambone" come veniva chiamato fin dall'antichità, faceva scorrere lo sguardo su tutta l'assemblea accennando un lieve sorriso e iniziava l'omelia, un momento molto atteso dai fedeli dato che lui aveva il dono di esprimere concetti profondi usando vocaboli e frasi semplici e comprensibili a tutti.
 
A volte si arrabbiava e la sua voce si alzava di tono diventando affilata come un rasoio. Ma anche in quel caso non faceva una noiosa ramanzina, il suo discorso era solo una esortazione a migliorarsi.
 
Nessuno si distraeva mai, e ognuno tornava a casa più ricco nell'animo.
 
Al termine delle funzioni tutti aspettavano che "Il Monsignore", tolti i paramenti sacri, uscisse dalla sagrestia e si presentasse sui gradini della Cattedrale.
 
Aveva sempre un pensiero per tutti, fosse un conforto o un consiglio, un incitamento
 
o una parola affettuosa.
 
E anche al di fuori dei suoi compiti religiosi, Monsignor Gennarino era sempre disponibile per chiunque.
 
Per questo era amato da tutti.
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