9° episodio - rizzuti.it

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A NATALE FRIJRI I GUAJUNI



Il racconto di Pasquale era appena terminato quando il treno, alle 6:30,
si fermò alla stazione di Bologna.
Dai finestrini si sentiva il profumo del caffè e della pasticceria, ma purtroppo non si vedeva nulla: Pasquale conobbe così la tipica nebbia mattutina del Nord, che in quel momento avvolgeva tutto lasciando passare solo le voci.
Da lontano arrivò un "Mo soc’mél che żâgno“.
"Ma questi non sono italiani" esclamò Pasquale e Saverio con un sorriso fa presente che quello era una frase in dialetto.
”Ma chisti su Tedeschi” ribattè Pasquale e l'amico rispose:
“Donca donca trì cunchett fan una cunca” spiegando che quello era un modo di dire in milanese che sollecitava una spiegazione di fatti.
Incominciarono a ridere così forte che fecero svegliare i molti viaggiatori infreddoliti.


Poi Pasquale, a proposito di dialetto, disse che sua nonna al tramonto recitava ai bambini del vicinato delle favole in dialetto:

“Su’ disperatu nun trovu fortuna
e duvi vai la terra mi trema
li morti nun mi vonu nsipultura
la terra ppi miraculu mi tena

Vai a lu mari a lu trovu mportuna
una timpesta calma e ‘nata vena
e l’umbra stessa di la mia perzuna
pure contra di mia sdegnata vena”


Il ricordo della nonna turbò Pasquale e la malinconia ebbe il sopravvento.
Saverio cercò quindi di cambiare argomento e iniziò a parlare della sua vita da milanese.

L’amico Mastro Giovanni gli aveva trovato un alloggio in una casa a ringhiera che comprendeva tanti appartamenti su ciascun piano, di solito tre; questi locali condividevano lo stesso balcone. Il ballatoio, che percorreva l'intera lunghezza dell'edificio, fungeva anche da via di accesso alle singole abitazioni. Altrettanto promiscuo era l'uso del cortile interno, dove erano presenti gli unici servizi igienici. Ogni appartamento era costituito da una grande camera, una cucina e un ripostiglio.
Saverio condivideva questo alloggio con altri due inquilini, Gabriele e Josephine; il primo era uno studente di 21 anni che frequentava la facoltà di Lingue Straniere, Josephine di circa 45 anni lavorava come traduttrice.
In questo camerone erano sistemati i tre letti, quello di Josephine era delimitato da una lunga tenda, mentre gli altri due erano uno di fianco all’altro.
Al centro della camera era stato sistemato un grande tavolo, che serviva per studiare e anche per consumare i pasti. Gabriele era genovese e a fine settimana ritornava a casa. Il lunedì mattina rientrava a Milano con un grosso zaino pieno di frutta, verdura, salsa di pomodoro, funghi e pesto alla genovese.
Josephine era una signora valdostana che conosceva tre lingue, sbarcava il lunario facendo traduzioni per alcune aziende della città, era simpatica ma molto riservata. Non si capì mai perché non si fosse sposata, aveva un accento francese e le piacevano i dolci e le creme. La sera non mangiava con loro e sorseggiava una grossa tazza di latte, dove inzuppava il pane avanzato dai giorni precedenti. Una volta ogni quindici giorni spariva e rientrava la settimana successiva.
Diceva che era stata ospite di una sua amica di Novara…..

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