marianna 6 - rizzuti.it

Sito multilingua
Vai ai contenuti
<- menù

ATMOSFERE VISSUTE ?

MARIANNA 6° EPISODIO
Intanto ad Amasya incominciò ad articolarsi la vendetta di Umar, figlio del califfo.
 
Appena Umar rientrò al castello, Orhan fece per parlare, sperando che potesse evitare la battaglia, ma proprio allora Umar emise un grido rabbioso e si lanciò in avanti. Alla fioca luce della luna, la lama diretta verso il petto dell'avversario emise un lampo che guidò Orhan. Colpì con violenza il braccio proteso, sentì il mugolio dell'avversario, cercò di afferrarlo ma quello riuscì a evitare la stretta, svicolò, perse l'equilibrio e cadde a terra, continuò a ruzzolare per allontanarsi e si rialzò quindi in piedi con il coltello ancora in mano.
 
Forse sarebbe stato possibile salvargli la vita, disarmarlo. Ma Orhan era stanco, ogni muscolo era teso, la lucidità di pensiero offuscata dalla paura, dalla violenza cieca di quei minuti disperati.
 
Quindi Orhan non aspettò che Umar recuperasse l'equilibrio, né cercò di colpirlo a mani nude per tramortirlo. Invece gli fu subito addosso, prima che l'altro potesse rimettersi in guardia, con l'avambraccio sinistro parò un debole colpo, riuscì ad impossessarsi del pugnale di Umar e glielo affondò nel petto. L'altra mano lo spinse all'indietro. Con un suono viscido la lama sgusciò fuori dalla carne, Umar emise un lamento, ruotò su se stesso, cadde bocconi e non si mosse più.
 
Allora quell'improvvisa violenza si dissolse come per incanto, portando con sé l'anima di Umar, e sul luogo calò il silenzio, appena disturbato dall'ansimare di Orhan.
 
Si lasciò cadere a terra seduto e respirò. Il cuore tornò pian piano a battere normalmente, il sudore gli si asciugò sulla fronte.
Al mattino Orhan ordinò ai suoi seguaci di portare nella piazza d’armi i corpi del Califfo e di suo figlio. Fece avvertire tutta la popolazione che lì si sarebbero tenuti i funerali e quindi l’ultimo atto di quella dinastia di tiranni.
 
Quando la popolazione e tutti i gendarmi arrivarono nella piazza, Orhan prese la parola:
 
“Amici, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire questi due esseri e non a lodarli.
 
Il male che gli uomini fanno sopravvivono a loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di questi corpi. Loro furono giusti verso di me, ma non verso gli altri.
 
Qui ho una pergamena col sigillo del Califfo, l’ho trovata in un cassetto, questo è il suo testamento: che, perdonatemi, io non intendo leggere, ma vi dico soltanto che molto tempo fa, mi aveva nominato come suo successore.
 
Se avete lacrime, preparatevi a spargerle adesso.
 
Ora voi piangete; perché voi sentite il morso della pietà: queste sono lacrime generose. Da adesso invece, inizierà un’altra era che porterà nuove ricchezze e maggiore serenità alle vostre famiglie”.
 
Terminata l’orazione funebre, i cadaveri furono trasportati subito in un sepolcro anonimo, per evitare future e brutali manifestazioni.
Subito dopo, venne dato l’ordine di liberare dalle galere tutti quei prigionieri che si erano opposti al Califfo e a suo figlio.
 
Uscirono da quelle prigioni uomini e donne, ormai consumati dalla lunga prigionia e venne data loro loro la libertà di restare o di recarsi nei loro paesi di origine.
 
Nei giorni successivi, scrisse un messaggio a Marianna per raccontarle tutto ciò che era successo, informandola che si sarebbero rivisti appena possibile.
 
Chiamò quindi un suo fedele servitore e lo inviò alla di torre di Astura per la consegna del dispaccio.
 

Dopo due giorni di cammino il “corriere” arrivò ad Astura, cavalcò fino alla Torre e disse ai gendarmi che, proveniva da Amasya e che doveva consegnare un dispaccio del Califfo alla “Signora della Torre”. Marianna veniva chiamata così, perché era considerata la plenipotenziaria del Califfo, inoltre era conosciuta e benvoluta da tutta la comunità.
Aveva perfino organizzato per tutte le donne della città un grande laboratorio di tessitura, si producevano arazzi e stoffe di seta che, poi venivano venduti a tutti i mercanti che approdavano al porto di Astura.
L’ambasciatore venne subito portato da Marianna che si trovava nel grande laboratorio. Il corriere le consegnò il dispaccio e Marianna incominciò a leggerlo, infine visibilmente commossa, disse ad un servitore di accompagnare l’inviato presso il castello, di ristorarlo e trovargli un posto dove riposare.
La sera Marianna si apprestò a scrivere una messaggio per Orhan:
 
“Amore mio, immagino i tuoi occhi e mi ci perdo dentro, ricordo la nostra storia e quindi tutto mi viene facile. Davanti a me si apre un mondo che conosco bene e che ancora oggi rappresenta il mio rifugio dalle intemperie e dalle avversità della vita.”
 
Al mattino chiamò il messaggero, gli consegnò la lettera. Poi disse al corriere di partire subito, consegnandogli anche un ricco foulard di seta, dove erano stati stampati i nomi dei due innamorati. Maddalena infine accompagnò l’inviato nelle cucine per prelevare il necessario per il viaggio.
 
Marianna e Maddalena avevano rafforzato la loro amicizia collaborando nell’organizzazione della manifattura tessile e impiegando il tempo libero, nel togliere dal giro della prostituzione, tutte quelle ragazze che erano state costrette a vendersi, dando loro un lavoro e una dignità che avevano perso da qualche tempo.
Marianna aveva un suo telaio personale su cui aveva deciso di imprimere la sua storia personale. Su quest’arazzo aveva costruito dei quadretti che contenevano la descrizione di ogni momento della sua vita. Si notavano navigli, castelli, uomini e donne che aveva conosciuto e che erano descritti con la massima precisione, tanto che Marianna lo chiamava il diario della sua vita.
Intanto Orhan era diventato a tutti gli effetti il sultano di Amasya, aveva riorganizzato il governo e l’esercito del sultanato, purtroppo ancora molti suoi nemici erano in agguato, nella speranza di una insurrezione della vecchia aristocrazia.
 
Aveva una grande voglia di rivedere Marianna ma, non poteva lasciare Amasya perché non si sentiva sicuro della fedeltà dei suoi sottomessi.
 
Non poteva neanche far ritornare Marianna a Amasya, perché il viaggio poteva mettere a rischio la vita della ragazza e come diceva spesso ai suoi fedeli, qui anche i sassi hanno orecchie e bocca. Comunque la popolazione aveva imparato ad amarlo e a rispettarlo, i suoi nemici, purtroppo erano i benestanti e gli aristocratici.
Marianna un giorno incontrando un mercante che con il suo naviglio faceva ritorno dalle coste del mare Ionio, gli domandò quali luoghi aveva visitato e dalla descrizione riconobbe il suo paesello e si fece prendere dalla nostalgia.
 
Marianna incominciò a pensare alla sua famiglia.
 
Li avrebbe rivisti?
 
Come stavano?
 
Chissà quale dolore ancora provavano per il suo rapimento.
 
Domandò quindi al mercante quando avrebbe fatto ritorno in quella zona e rispose che sarebbe salpato alla fine del mese.
 
Marianna voleva inviare ai suoi genitori, qualcosa che facesse capire che era viva e stava bene e così pensò di affidare al mercante suo amico, un segnale che potesse far meglio capire la sua condizione di vita.
 
Marianna doveva quindi terminare al più presto il suo arazzo, una tela di lino ricamata con fili di lana colorati lungo 3 metri. La sua storia era raccontata con dovizia di particolari e con molto sentimento.
 
Lavorò al suo arazzo notte e giorno intrecciando trama e ordito mediante la Navetta e dopo dieci giorni lo terminò.
Torna ai contenuti