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ATMOSFERE VISSUTE ?

MARIANNA 9° EPISODIO
Purtroppo una Domenica dalla Torre, alcuni abitanti avvistano un naviglio con la bandiera del califfato, informano Marianna che, con molte difficoltà, confermò.
 
Era quindi arrivato il momento del ritorno, Marianna chiamò subito Maddalena e con un gesto le fece capire che bisognava preparare i bagagli per il ritorno.
 
Così con le lacrime agli occhi, iniziano a prepararsi.
 
Dopo poche ore Murad ed alcuni marinai approdano con la scialuppa sulla spiaggia e quindi si diresserò verso la casa di Marianna.
 
Marianna e Maddalena abbracciarono Murad che, con dispiacere disse loro che entro sera bisognava ripartire.
I preparativi furono angosciosi e a tratti drammatici, Marianna non riusciva a trovare alcuni oggetti personali, sua madre seduta in un angolo, si disperava e piangeva, coinvolgendo l’anziano Padre che a tratti gridava: “Non ci rivedremo più! Noi siamo vecchi e sofferenti e non abbiamo la forza necessaria per andare avanti.”
 
Marianna cercando di tranquillizzarli faceva capire loro che sarebbe ritornata al più presto.
 
Infine, Marianna, Maddalena e Murad partirono, il mare era calmo e il sole brillava alto nel cielo, dal naviglio si poteva intravedere una nuvola a forma di angelo che sovrastava la torre del piccolo paese. Quello che rendeva la nuvola ancor più rilevante, era il fatto che fosse immobile e bianchissima. Marianna finalmente si tranquillizzò e singhiozzando abbracciò Maddalena.
La navigazione durò tre giorni e all’alba il naviglio entrò nel porto di Astura.
 
Murad accompagnò le donne al castello e dopo aver fatto trasportare i bagagli da alcuni marinai, si diresse verso salone e lì rivelò alle donne che Orhan sarebbe tornato fra due giorni. Finalmente sul volto di Marianna apparve il sorriso e subito il mondo le sembrò più luminoso, pensando all’incontro che avrebbe avuto con il suo sposo.
 
Il giorno successivo Orhan con la scorta e l’amico Abur, oltrepassarono la porta meridionale di Amasya, mentre gli uomini di guardia spegnevano gli stoppini delle lanterne e un colpo di tallone, incitò il cavallo verso sud. Sulla sinistra, il sole superava i picchi azzurrini delle montagne orientali, il cielo era di un blu intenso, gli uccelli cantavano e i rumori della città in fase di risveglio, echeggiavano alle sue spalle. Giunto in cima ad un'altura, in basso scorse, la foresta detta del Cranio, che lui avrebbe volentieri evitato per le malvagie legende che si raccontavano ma, così si accorciava il tempo per arrivare il prima possibile a destinazione.
 
Realmente nella foresta vivevano delle bande di sanguinari tagliagole che qui avevano stabilito il quartier generale e spadroneggiavano contro le carovane e le loro merci.
 
Gli zoccoli del cavallo non provocavano quasi rumore sul terreno pieno di sterpi, e Orhan mantenne l'animale a un'andatura tranquilla per timore di qualche radice nascosta che potesse farlo incespicare.
 
Il cavallo continuò a procedere al passo fino a mezzogiorno; poi Orhan e i suoi si fermarono a mangiare in fretta qualcosa di freddo e legò la bestia ad un albero accanto a un ruscello. Infine permise all'animale di bere, e gli diede una manciata di avena. Stava accarezzando il lungo collo quando il cavallo tirò su di scatto la testa e snudò i denti.
 
Orhan balzò indietro e cadde a terra.
 Rimase là disteso per un momento, poi sorrise e disse: “Sapevo di non piacerti” e il cavallo si girò a guardarlo, sbuffando.  
Orhan era in procinto di montare in sella, quando il suo sguardo si posò per caso sui posteriori del cavallo, segnati vicino alla coda da profonde cicatrici lasciate da una frusta.
 
” Allora qualcuno ti ha preso a frustate, eh?”
 
“Ma non ha spezzato il tuo spirito? “
 
Quindi montò in sella, calcolando che, con un po' di fortuna, entro un giorno sarebbe arrivato ad Astura.
 
Mentre il gruppo attraversava la foresta, le querce nodose dalle radici contorte proiettavano ombre scure e minacciose sul sentiero. La luna stava sorgendo sugli alberi, e proiettava una luce spettrale sulla pista; battendo i denti, Abur si guardò intorno alla ricerca di un buon posto dove accamparsi, e ne trovò uno. Costruirono una specie di stallo improvvisato fra alcuni cespugli per riparare in parte i cavalli dal vento, diedero da mangiare agli animali, poi accesero un piccolo fuoco, vicino a una quercia caduta e a una grossa pietra. Al riparo dal vento, il calore veniva riflesso dalla pietra e si riversava su Abur mentre questi preparava il tè; infine Orhan, si avvolse la coperta intorno alle spalle, si appoggiò alla quercia e rimase a guardare le fiamme che danzavano.
 
Ad un certo punto si sentì un rumore somigliante a delle armi che stridevano al contatto con il legno degli alberi.
Abur si alzò e corse in quella direzione con il pugnale in mano, si sentì subito il rumore dell'acciaio contro l'acciaio, subito tutti gli altri si precipitarono in soccorso. Abur stava combattendo una battaglia persa in partenza, perché il suo pugnale non poteva tenere a bada tre spade, ma il vecchio Abur era stato un guerriero, e si muoveva ancora bene. Orhan si era immobilizzato, come paralizzato, dimentico della spada che teneva in pugno; aveva cercato di avanzare, ma le gambe si erano rifiutate di obbedire.
 
Poi, una spada aveva attraversato la guardia di Orhan, aprendogli una grossa ferita in una gamba.
 
Il sanguinoso scontro era durato pochi secondi. Abur aveva eliminato il primo dei tre con un affondo alla gola, aveva parato un colpo del secondo e sbattuto il terzo contro un albero con una spallata. Orhan, accasciato a terra, aveva subito afferrato il terzo aggressore e lo aveva trafitto con il pugnale.
Terminata lo scontro, Orhan si accorse di perdere molto sangue dalla ferita e Abur togliendosi la cintura, l’arrotolò attorno al femore. Il flusso del sangue si fermò ma bisognava fasciare la gamba e curare il profondo taglio. Quindi con il pugnale tagliò un pezzo del suo camice di tela e lo avvolse attorno alla ferita.
 
Poi Abur raccomandò agli altri di stare vicini a Orhan e s’inoltrò verso la pianura.
 
Dopo circa un’ora ritornò con delle foglie spesse e carnose dai colori vivaci, l’ALOE, un ottimo disinfettane e cicatrizzante che aveva sperimentato sulle ferite dei suoi compagni di battaglia.
 
Si avvicinò ad Orhan, tolse la fasciatura e applicò alcune strisce di Aloe sulla ferita, infine facendosi aiutare dai compagni, fecero salire Orhan sul cavallo. Era necessario ripartire, per evitare altri attacchi ed anche per Orhan che soffriva per il dolore ed iniziava a sentire la febbre. Cavalcarono in un silenzio gelido; Orhan montava in sella alle spalle di Abur, il quale dovette sforzarsi per non spronare il cavallo, nonostante la paura che gli attanagliava lo stomaco.
Finalmente all’alba arrivarono al castello di Astura, Orhan era ormai sfinito, aveva la febbre e dovettero portarlo in quattro per adagiarlo su di un divano del salone.
Allertarono subito Marianna e Maddalena che precipitandosi non credettero ai loro occhi.
 Venne subito chiamato un guaritore che era molto conosciuto dai marinai e dalle maestranze del luogo, aveva curato malattie insolite, nonché ottenuto molte guarigioni con rimedi naturali e dall’efficacia straordinaria. Marianna si avvicinò ad Orhan e lo baciò con dolcezza, Orhan aprì gli occhi e nonostante la febbre disse: “Non preoccuparti, domani starò meglio”, poi si appisolò di nuovo.
 
Al risveglio si trovò d’avanti un signore vestito di nero, con un turbante viola che si esprimeva con un linguaggio strano, per cui spaventato gridò: “Sono morto?”
 
Marianna lo tranquillizzo dicendo: “E’ Tabib ti guarirà”.
 
Tabib proveniva da una scuola medica dove studiò la scienza greca ed in particolare approfondì le conoscenze del greco Galeno e del siriano Razi.
 
Tabib tolse le bende a Orhan e iniziò a medicarlo con un olio che aveva in un’ampolla, dopo di che si fece dare un calice di vetro, lo riempì con un liquido incolore e lo fece bere ad Orhan.
 
La notte fu piena di tormenti e Marianna cercò di tranquillizzarlo,
accarezzandolo continuamente.
Al mattino Marianna fu svegliata dalla presenza del guaritore Tabib, il quale tolse subito le bende a Orhan e iniziò a medicarlo. Constatò immediatamente che la febbre era per miracolo scomparsa e che notava un notevole miglioramento dello stato delle ferite.
 
Orhan si sentiva già forte e manifestò il desiderio di fare colazione.
I due restarono per molto tempo a guardarsi vicendevolmente e tra una carezza e l’altra, Marianna confidò al suo innamorato, una piacevole impressione. “Ho la nausea al risveglio, certi alimenti o certi odori mi fanno stare male, inoltre la sonnolenza mi accompagna per tutta la giornata e infine ho dei bruciori di stomaco. Ne ho parlato con Maddalena e mi ha detto che forse sono gravida.” Orhan con gli occhi lucidi, abbracciò subito Marianna e i due si coccolarono reciprocamente.
Passarono alcuni giorni e Orhan sentendosi ormai più vigoroso, chiamò Abur e gli disse di disporre una carrozza e un drappello di uomini per far rientro ad Amasya.
 
Quindi chiese a Marianna di organizzare il viaggio di ritorno, per cui si allertò Maddalena per la preparazione dei bagagli.
Due giorni dopo, il drappello partì da Astura in direzione di Amasya.
 
Durante il viaggio si fermarono più volte perché, Marianna accusava nausea e quindi bisognava aspettare, per poi riprendere il viaggio.
 
Abur spesso con il suo cavallo, si allontanava dal corteo, per ispezionare la via, prima di ricominciare, anche perché era stato avvertito della presenza di alcune bande armate che circolavano nel prospiciente bosco.
 
L'alba non era lontana. Le stelle cominciavano a scolorirsi e verso oriente una pallida striscia bianca con delicate sfumature rosa, cominciava a delinearsi al di sopra dei cupi ed immensi boschi della radura. Ad un tratto il rumore degli zoccoli di alcuni cavalli insospettirono Abur, che con un segno, fece fermare il drappello. Comandò di nascondere la carrozza nel bosco e Orhan lasciando la carrozza, si mise ad aspettare assieme a gli altri, dietro una rupe. Passarono pochi minuti, quando da un sentiero nascosto tra gli alberi apparve un folto gruppo di cavalieri, armati di sciabole scudi e alabarde che dalle movenze davano l’impressione di essere alla ricerca di scontri. Il numero dei componenti della banda era, di sicuro, superiore al drappello di Orhan, per cui si decise di inviare Abur alla guida della carrozza, per portare Marianna a Amasya, attraverso il bosco.
Orhan tranquillizzò Marianna e Abur e tirando le briglie ai cavalli, partì silenziosamente per un percorso che avrebbe attraversato la foresta. Al rumore della carrozza i predoni scesero sul sentiero, per poter avviare una strategia di attacco, ma si trovarono Orhan e i suoi uomini che subito li circondarono.
 
Con un grido di sorpresa e di paura Orhan balzò di lato al comandante, mentre con un guizzo la mano estraeva la spada. Iniziò un cruento combattimento che terminò con la fuga dei predoni, quando il loro capo venne ferito a morte da Orhan.
 
Dopo aver sepolto i propri morti, ormai esausti, si diressero verso Amasya e per strada raggiunsero la carrozza con Marianna e dopo una breve sosta, proseguirono il loro viaggio.
 
Quando il sole era già alto, Orhan con la sua scorta e l’amico Abur, oltrepassò la porta meridionale di Amasya, mentre gli uomini di guardia lo salutarono con deferenza. Abur con un colpo di tallone, incitò il cavallo verso il castello ed entrando nella piazza d’armi, fece portare la carrozza verso la scalinata.
 
Marianna esausta, venne accompagnata in camera da Maddalena e subito dopo si presentò Orhan che con un bacio la tranquillizzò e salutandosi affettuosamente si dettero appuntamento per l’ora di cena.
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